La tessera sanitaria a punti? Ecco perché no


L’assessorato lombardo al Welfare ha proposto una tessera sanitaria a punti per invitare la cittadinanza a sottoporsi agli screening di prevenzione. Più si aderirà ai richiami e ci si controllerà – questo è il presupposto – più se ne avranno vantaggi. Quali? Non c’è ancora chiarezza a riguardo, la proposta è allo studio. Si ipotizzano premi, ad esempio ingressi alle terme o sconti sullo skipass in montagna. Non si sa ancora se il varo della tessera a punti passerà ai voti in Consiglio o se entrerà fra le delibere di giunta.

Quali sono gli screening per i quali il Welfare sta progettando la tessera a premi? Quelli in vigore in regione: le mammografie annuali per le donne over 50 (non le ecografie mammarie per le quali non c’è mai posto… ); gli screening del colon retto per over 50 e quelli che partiranno quest’anno per prevenire il tumore al polmone e quello alla prostata fra i 50 e i 69 anni.

L’assessore Guido Bertolaso ha giustificato così la proposta: “Più ti controlli meno costi alla Regione”.

Tuttavia, se gli screening servono a individuare i tumori precocemente, i costi della Sanità sono destinati a crescere perché si scopriranno più persone malate. Anziché dover curare tumori allo stadio avanzato, li si comincerebbe a trattare ai primi stadi. Cosa che per certi versi e, per taluni, può rappresentare un indubbio vantaggio. La motivazione non è dunque il risparmio.

Ma il punto non è questo.

Il punto è la Sanità di un’amministrazione pubblica che valuta con crocette e premi quali sono i pazienti buoni e quali i cattivi. La lavagna e la pagella.

Ci si chiede che ne sarà dei cattivi.

Fatti troppo gravi, il green pass e tutto ciò che ha comportato, ci portano a dire no: non la faremo.

I cattivi allora erano quelli che hanno rifiutato di sottoporsi a un vaccino sperimentale.

Quelli che – intimoriti all’idea di assumere un farmaco di cui non si sapeva nulla, magari proprio per effetto di infelici trascorsi e messi sull’attenti dal proprio medico – si sono ritrovati con meno crocette: è stato impedito loro di lavorare, circolare in metropolitana e sul tram, entrare nei posti pubblici, visitare un parente ricoverato in ospedale. I bravi che invece hanno accettato il salto nel buio sono stati lusingati non da uno skipass gratis ma dal poter liberamente muoversi, andare al ristorante o a bere l’aperitivo con gli amici.

È successo che i diritti naturali venissero trasformati in “premi”, bastò una semplice dichiarazione dei governanti di allora, tutti a parole di sinistra, contrari alle discriminazioni e rispettosi delle libertà individuali.

Eppure, all’epoca della tessera green pass, era già chiaro che il viatico per la libertà (il vaccino, appunto) non stava affatto proteggendo dal virus. Era il giugno 2021 e la gran parte degli italiani era in attesa della seconda dose, avendo sperimentato la prima, e, subito dopo, sia l’infezione che il Covid.

Il green pass è stato un premio sociale.

L’assessore Bertolaso ha  dichiarato al Corriere che “i vaccini non c’entrano con la tessera allo studio”. E che “non costringeremo nessuno ma incentiveremo”. Lo staff ha aggiunto che “per ora si sta pensando solo agli screening e che le cose devono essere ancora valutate”.

Però l’annuncio è stato fatto e la tessera a punti lombarda – se pur da perfezionare – ricorda il sistema del credito sociale cinese: si attribuisce a ciascun cittadino un personale punteggio. Wikipedia riporta casi di chi ha subito punizioni per aver violato i protocolli sociali. A nove milioni di cinesi con “punteggi bassi” è stato negato il diritto di comprare voli nazionali. Ad altri è stata negata l’iscrizione alla scuola per i figli, alcuni non hanno potuto prenotare camere in albergo o usare la propria carta di credito.  Il sistema è stato anche usato per valutare le abitudini di navigazione su internet (troppo tempo passato giocando ai video giochi riduce il punteggio).

Quest’ultimo rimanda agli incentivi per gli screening: l’amministrazione che ti bacchetta se mangi troppe patatine. Così, puntuale, si farà vivo il virologo-diabetologo salottiero che sentenzierà che chi supera di tot centimetri il girovita ideale “non avrà diritto a essere curato”.  È già successo nei mesi del  premio sociale green pass: in Italia e non in Cina.

Ma poi, chiediamoci, se abbiamo davvero bisogno di una Sanità che ci tratti come infanti da controllare e non come persone da responsabilizzare e, dunque, con i propri margini di autonomia e di scelta.

Chiediamoci anche se non sarebbe meglio che torni, la Sanità, al ruolo che le compete, che è quello di assistere, lasciando perdere (visto che è il momento delle riforme) lo status di azienda che per sua natura fattura.

Un servizio senza scopo di lucro, come dovrebbe essere la scuola.

E poi un Welfare come quello lombardo – proprio perché fino a qualche lustro fa ha  fatto scuola nel mondo – potrebbe essere il primo a modificare le leggi di bilancio. La piaga dei medici a gettone si è verificata perché la spesa per il personale ha un tetto mentre la voce “consumi”, all’interno della quale rientrano le cooperative, risulta al confronto illimitata. Si abbia il coraggio di imparare dagli errori.

E poi, se proprio ci tenete ai voti, saremmo noi a darvi una buona pagella.

Original source: https://blog.ilgiornale.it/locati/2024/02/23/la-tessera-sanitaria-a-punti-ecco-perche-no/

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